Oggi Giulio il nostro esperto di cinema recensisce un film trasmesso in Italia da Netflix a partire dal 15 giugno 2018. S'intitola "Beirut" (ecco la locandina),
è stato scritto nel 1991 ma ha potuto sperare in finanziamenti solo dopo film come “Argo.
RECENSIONE:
"Beirut" è ambientato sullo sfondo della guerra civile libanese dove si consuma la storia di un uomo diviso tra doveri e valori affettivi. Proprio il difficile contesto del Medio Oriente, precisamente quello della capitale del Libano, Beirut, devastata dal 1975 al 1990 dalla guerra tra musulmani e cristiani, nonché dagli attacchi israeliani nel tentativo di stanare Yasser Arafat, non funge da semplice scenografia al servizio di una storia, piuttosto si presenta come protagonista degli avvenimenti qui sceneggiati da Tony Gilroy (autore di fama che in veste di sceneggiatore, regista o produttore ci ha regalato titoli sempre interessanti e sofisticati, come “L’avvocato del diavolo”, la saga della spia “Bourne”, fino a “Michael Clayton”) e diretti da Brad Anderson (che si è fatto conoscere come raffinato autore di prodotti a taglio fortemente psicologico come “Session 9” e lo splendido “L’uomo senza sonno”).
"Beirut" si apre agli inizi degli anni ’70 per poi svolgersi dopo un decennio, mostrandoci un declino totale di protagonista, co-protagonisti e antagonisti tutti strettamente legati, e condizionati, al drammatico sfondo storico in cui si muovono.
Un diplomatico americano, Mason Skilles (Jon Hamm, star di “Mad Men” nonché efficacissimo antagonista di Ben Affleck in “The town”) vive a Beirut, con moglie autoctona e un ragazzo 13enne da lui accolto e che da li a poco diventerà suo figlio adottivo. Fine dicitore e abile negoziatore, Mason intrattiene rapporti con i più alti esponenti della politica medio-orientale, facendo da mediatore per il Governo statunitense. É il 1972 e il massacro di Monaco appena accaduto scatena gli eventi che sconvolgeranno la vita di Mason. Un gruppo di miliziani invade la sua residenza alla ricerca del ragazzino che Mason ha preso in custodia, il quale si scopre non essere solo al mondo, bensì fratello del sospettato numero uno a capo del gruppo di terroristi colpevoli della strage di Monaco. Mason e tutte le persone a lui legate saranno segnate da questa tragica irruzione che, dieci anni dopo, lo perseguita ancora e lo vedrà tornare a Beirut su richiesta della CIA, assolvendo ad un incarico ufficialmente didattico, per intervenire ad una conferenza universitaria, mentre ufficiosamente sarà chiamato a negoziare le trattative per il rilascio di un ex-collega rapito dalla malavita locale per motivi sconosciuti.
La sceneggiatura, seppur talvolta prolissa sino a sfiorare la ridondanza, resta comunque sufficientemente serrata e certamente precisa nel racconto degli avvenimenti storici che accompagnano i personaggi.
La mano del regista, stilisticamente movimentata al servizio di una storia quasi documentaristica e fedele ai fatti, e una fotografia dalle atmosfere aridamente calde, sono gli ingredienti di questo spy-thriller elegante ma nel contempo sporco, coerente con l’ambientazione urbana di una città afflitta da continui scontri, in cui lo scoppio di un ordigno accompagna la quotidianità quasi quanto il rumore dei clacson. Al centro di un tale contesto la storia personale del protagonista, segnato dal dramma della perdita, mitigato inutilmente dall’abuso di alcol. Mason sperimenta il lutto, il fallimento, il tradimento, la delusione, tutte tematiche celate dal suo senso del dovere e dal talento nel trattare con la gente. Nonostante i solidi presupposti la pellicola fatica a coniugare la potente ricostruzione storica con una storia individuale, che invece di rapire l’emozione dello spettatore si sgonfia in favore di un lucido racconto di cronaca. VOTO 7
Gran bella recensione complimenti!
RispondiEliminaFilm alquanto interessante, anche se non proprio originale ;)
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